“La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.”
A 30 anni dalla strage di Via D’Amelio, nella quale persero la vita il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, la storia giudiziaria di questo Paese non è ancora riuscita a dare risposte.
Ma c’è un altro lato della storia: quello della memoria, della coscienza collettiva e dell’insegnamento che ognuno di noi ha tratto da quel drammatico giorno.
Quel ricordo, quei sentimenti, quei pensieri devono rappresentare un’eredità per tutti noi.